È dove nell’aria c’è profumo di larici e timo selvatico, dove ci sono ricordi, dove ci sono sacrifici. È un luogo in cui i sapori sono autentici, dove la colazione sa anche un po’ di fumo e di camino, perché i ceppi della sera prima non sono ancora bruciati del tutto e allora approfittiamone e abbrustoliamo un po’ di pane, che così è più gustoso. È un posto che ha il suo sapore, che regala momenti dimenticati e indimenticabili, dove una farfalla ti si posa sul piede mentre leggi un libro. Lei non ha paura, sa che non farai niente se non ammirare i colori delle sue ali. Così un po’ civettuola si lascia osservare e poi se ne va soddisfatta.
È dove i temporali sferzano acqua con violenza e le montagne sembrano chiudersi attorno a te assieme alle nuvole, ma con un po’ di vento torna il bel tempo e il sole ti brucia la pelle senza pietà, se non stai attenta, e tutto intorno la natura risplende di nuovo. Questo luogo offre la pace più semplice e la gioia pura, ma non lo fa mai gratuitamente. È parte delle mie origini, è dove io sento le mie radici affondare nella terra più umida e fertile, ma aspra e impervia. È dove io respiro famiglia.
L’incanto di questa valle sta nei suoi modi selvatici, nei pendii ora crudi e feroci, poi più dolci e verdeggianti, ma solo per poco. C’è l’asprezza di un paesaggio alpino che lascia a bocca aperta appena voltato l’angolo, appena la strada vorticosa compie una curva che si apre su un nuovo orizzonte, che alza il sipario su un nuovo palcoscenico. Lo spettacolo è sempre assicurato. La natura la fa da padrona: picchi e vette da brivido, dove la neve non si scioglie nemmeno in luglio, fitti boschi attraversati da cascate brillanti, che all’ora giusta del pomeriggio regalano un magico arcobaleno.
Le cascine delle ville (così vengono chiamati qui i piccoli borghi, agglomerati di poche decine di case) sono testimoni di fatiche passate, di una vita tra i sacrifici. Io non so raccontare con precisione che tipo di vita fosse, non l’ho vissuta in prima persona, ma una cosa è certa: era dura. Conosco in parte ciò che mi è stato tramandato, ma alcuni racconti li ho sentiti solo da bambina, quando ancora si è troppo piccoli per dare il giusto peso alle fatiche. Sarebbe bello pensare che dopo aver lavorato per tutto il giorno in campi e pascoli dalle pendenze proibitive, la sera, in cascina, si fosse accolti dal calore del fuoco e quello, ancora più importante, della famiglia. Ma forse c’era troppo da fare anche in casa, non c’era il tempo per dedicarsi ai romanticismi, per abbandonarsi alle tenerezze: era una vita dura. Sono certa che non mancavano i sentimenti, il volersi e voler bene, purtroppo però si era costretti a relegarli in secondo o terzo piano. La priorità era sempre il lavoro, che in fondo era comunque finalizzato per cercare di far stare bene tutta la famiglia, ma con sacrificio di tutti.
Immersa in questo ambiente mi sorprendo a pensare a quanto sia facile per me lamentarmi di fare fatica, quando in realtà non mi avvicino minimamente alla vita di sforzi che ha fatto chi mi ha preceduto. Non è che di questi tempi sia tutto più facile, ci sono altri tipi di pressioni, meno fisiche e più psicologiche, probabilmente. Mi pare però che l’atteggiamento nell’affrontare queste situazioni sia diverso. Mi accorgo di essere io stessa più portata alla “lagna”, di non essere così forte nell’affrontare i periodi duri e stancanti. Spero solo di portare nei miei geni un po’ di quello spirito di instancabile operosità che respiro in questo posto. Stare qui mi fa bene, mi fa ricordare che non puoi dare niente per scontato, che ciò che guadagni sudando ti darà sempre una soddisfazione impagabile, che non può essere paragonata al beneficio gratuito.
Le azioni primarie di vita quotidiana qui richiedono più pazienza, più lavoro. Sono i gesti per le piccole cose che ti fanno apprezzare quel ritorno al basic (come si direbbe ora), allo spontaneo, al naturale, al concreto, al semplice.
Niente acqua calda, se non si accende il fuoco per scaldarla, poca elettricità, appena sufficiente per un po’ di luce e per la radio, unico vero collegamento con il mondo (cellulare a parte, che si cerca di dimenticare spento), cucina genuina, che rispetta i sapori. Qui anche mangiare – sarà la montagna a mettere appetito – è un’esperienza più intensa, meno scontata. Il formaggio appena comprato all’alpe vicina ha il sapore del fieno che avvolge la cascina e il profumo di cantina.
Insomma, qui c’è la terra che sento mia, la vita che scorre dentro, palpabile, quella che ti riempie.
Non ho ancora trovato un altro posto al mondo che mi faccia sentire così.
Tutte le fotografie inserite in questo post sono state scattate dalla mia grande amica, cugina acquisita e fotografa per passione Laura Bagutti. Qui il suo link Laura Bagutti Photography dove si possono scoprire le sue opere e il suo talento. HAVE A LOOK!